Nel 2019 sono arrivata finalista alla Call di racconti brevi del Premio Italo Calvino con il testo «Noccioline».
Tutto è cominciato subito. Sin da bambina trascorrevo i pomeriggi immersa nelle storie, perché sono convinta che la letteratura sia condivisione, un ponte per l’altro, una riappropriazione di noi stessi. I libri hanno l’incauta potenzialità di farci essere nel tessuto del qui e ora, riportarci a riva.
Per questo credo nelle storie.
Una storia può raggiungere chiunque, attraversare il tempo e lo spazio e alleviare una ferita o un dolore un secolo dopo la sua nascita. Quante volte, per ritrovarmi, ho preso in mano i testi di Carver, Faulkner, Pavese, per specchiarmi nelle loro parole, per sentirmi compresa, accolta, protetta.
Tutto molto bello, ma come ci sei arrivata in libreria?
Il percorso è stato lungo, non te lo nego. Sembrava non finire più. Ho frequentato il corso di Scrittura creativa alla Giulio Perrone Editore, nell’autunno del 2016. A darmi consigli preziosissimi è stata Mariacarmela Leto, che grazie alle sue indicazioni sono stata in grado di «ripulire» la mia scrittura sfranta, a tratti eccessiva, e riconsegnarla schietta, affilata sulla pagina. Questo primo approccio è stato necessario per conoscermi, capire che cosa volessi fare nella vita, constatare quanto importante fosse per me la scrittura. Se fossi disposta al sacrificio.
Perché scrivere è sacrificio.
Ma sapevo che non bastava. Avevo bisogno che qualcuno mi facesse notare gli errori, mi insegnasse le tecniche di narrazione, volevo studiare il più possibile. Così mi sono iscritta alla Scuola Palomar di Mattia Signorini: ho frequentato l’anno accademico 2017/2018, ho lavorato minuziosamente alla trama, alla sinossi, ai personaggi, sono arrivata a registrarmi le battute su Whatsapp, recitavo per dare carne ai protagonisti, per donargli identità, concretezza. Il percorso alla scuola mi ha mostrato cosa veramente significasse il sacrificio: ho rinunciato alle uscite al cinema, alle vacanze, ai regali, a tutto pur di leggere, arricchirmi; a tutto pur di scrivere, e dare una conclusione al romanzo. Così, alla fine dello stesso anno, ho firmato il contratto di rappresentanza con la mia agente letteraria Vicki Satlow. Il libro, che inizialmente doveva intitolarsi Papaveri rossi, sarebbe dovuto uscire a marzo 2020 per Dea Planeta Libri.
Eppure, ho scelto di fare un passo indietro, ritornare esordiente assoluta, perché la narrativa italiana di Dea Planeta era destinata a morire da lì a pochi mesi. E per fortuna ho aspettato, direi: a marzo 2020 è scoppiata la pandemia, che mi sarebbe stata nemica.

Ho deciso di cogliere al volo quell’opportunità, di migliorarmi, di produrre qualcosa che ne valesse la pena, ancora di più: ho riscritto il romanzo e a ottobre 2020 l’ho candidato al Premio Italo Calvino. Il Premio non l’ho vinto, in realtà neanche sono arrivata in finale, ma poco importa: Salani lo avrebbe pubblicato a gennaio 2022.
La gioia è stata tanta. La sorpresa, infinita. Ho cambiato titolo, ho voluto giocare con la concezione di bene e di male, e il romanzo, nonostante abbia aspettato quattro anni per vedere la luce, è stato apprezzato dappertutto: ne hanno scritto sul Corriere della Sera, La Stampa, La Repubblica, ha vinto perfino il Premio John Fante Opera Prima 2022, qua il racconto (https://www.johnfante.org/john-fante-festival-2022-il-racconto/). Mai stati innocenti mi ha accompagnata in giro per l’Italia, e perfino fuori: sono stata a Tolosa, in Francia, per parlare di periferia, di povertà; ho avuto la possibilità di prendere parte a un progetto letterario in Sardegna (Luoghi Letterari, qua http://www.sardegnacultura.it/j/v/258?s=26229&v=2&c=28263&t=7), e di visitare città nuove, conoscere un sacco di persone, librai meravigliosi, lettori splendidi, gente con la vita negli occhi.